DIZIONARIO MINIMO: Il ponte
di Libero Venturi - domenica 19 agosto 2018 ore 07:00
Quando crollano i ponti, sembrano crollare la forza e l’idea stessa della nostra volontà di progresso e di comunicazione. Un ponte questo rappresenta e non solo idealmente. Unire, mettere in contatto sponde lontane e proseguire il cammino, questo è un ponte.
Il crollo del viadotto autostradale di Genova è una tragedia nazionale per i morti e per tutti coloro che ne soffrono e ne soffriranno le conseguenze. Quando accadono simili tragedie, la comunità si deve unire solidalmente per farvi fronte. Il primo sentimento deve essere questo. Vicinanza alle persone, a quella povera gente e alla città di Genova, ferita e piegata in due dallo strazio. L’analisi delle cause e delle responsabilità verranno e seguiranno una strada parallela. La Magistratura farà il suo corso. E che non sia “beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno giustiziati”. Ora si deve andare in soccorso alle vittime, rimuovere il danno e dare soluzioni al viadotto rimasto, troncato nell’aria e alle abitazioni sottostanti.
È così si è fatto e si sta facendo da parte dei Vigili del Fuoco, della Protezione Civile, degli operatori della Sanità. Per questo fanno veramente specie le dichiarazioni improvvide di autorevoli esponenti governativi che non hanno voluto perdere nemmeno questa occasione per “buttarla in politica”, fare propaganda, seminare discredito e odio. Ancor prima che le responsabilità siano accertate, subito addossando la colpa alle corrotte classi dirigenti della vecchia politica. Ci vuole una notevole dose di malanimo per comportarsi così. Sempre ad avvelenare i pozzi e portare merda da seminare.
È chiaro che non si tratta di una fatalità. Fosse andato giù per un terremoto del decimo grado della scala Mercalli o per il meteorite del Buondì Motta, questa sarebbe una fatalità. Non sarebbe stata una fatalità nemmeno se il ponte, chiuso al traffico, fosse collassato sotto il suo stesso peso, perché ci sarebbero comunque responsabilità progettuali o manutentive, non imputabili al caso. Personalmente non ho nessuna intenzione di giustificare inadempienze e difendere nessuno, tantomeno la cinica Società Autostrade e l’azionista Benetton, c’ho solo comprato qualche maglia durante i saldi, ma additare subito i colpevoli e far subodorare vischiosità con la politica dei precedenti governi è un’azione sciacallesca e irresponsabile. Tanto più in presenza di così tanti morti, feriti e sfollati. In questo modo si rischia di creare ancor più disastri, facendo crollare con effetto domino, come è forse successo per gli stralli del viadotto, la fiducia e la credibilità non di una classe dirigente, ma di tutto il Paese nei confronti di se stesso.
Questi signori pensano di dare ad intendere alla gente che loro vengono giù dalla luna, ne sono appena scesi, e tutti gli altri dal monte con la piena. E il male è che la gente rischia di crederci. Duole ricordare, in un simile e già doloroso frangente, al Ministro Di Maio che, quando ci fu il progetto della costruzione di una nuova viabilità per alleggerire il viadotto Morandi dal carico eccessivo del traffico, fu il Movimento 5 Stelle a respingere irresponsabilmente il progetto mettendosi alla testa dei populisti contrari ad esso, come a tutte le grandi opere. In un Paese dove pesano i terribili costi e i ritardi del “non fare”. I Grillini si valsero proprio del giudizio della Società Autostrade per dire che non esisteva nessun pericolo imminente per il viadotto, anzi si trattava di una “favoletta” inventata ad arte. Così si espressero, salvo cancellare tutto, in fretta, dal sito. E, al di là delle competenze, duole ricordare al Ministro Salvini che la Regione Liguria è governata da tempo da forze politiche che comprendono anche la Lega. E, se un modo per alleggerire il traffico su gomma è quello di potenziare quello su ferro, che dire di coloro che si oppongono alla Tav?
Il ponte Morandi si chiama così, non in omaggio a Gianni Morandi, il cantante, per di più in odore di sinistra. E l’ingegner Riccardo Morandi che lo progettò non sarà stato esattamente un “pirla”, qualifica attribuitagli in rete e subito rimossa. Certo nella città dell’Italsider usare l’acciaio per il viadotto sarebbe stato naturale e avrebbe avuto anche più senso il soprannome assegnatogli di Ponte di Brooklyn, ma forse nell’Italia del boom economico ed edilizio, una soluzione come quella del calcestruzzo precompresso, brevettata dall’ingegner Morandi, sarà risultata più economica ed efficace per i tempi. Si trattava però di capire che i tempi passano, i materiali si deteriorano, mentre il traffico sarebbe aumentato a dismisura, rispetto agli anni sessanta. E quel viadotto era una via di comunicazione decisiva e indispensabile per Genova, il suo porto e l’Italia.
Morandi, che non era stato nei suoi anni giovanili nemmeno un uomo di “regime”, progettò e costruì ponti e manufatti in tutto il mondo. Il Puente Gran Rafael Urdaneta sul lago di Maracaibo in Venezuela, ben più lungo, è un progetto “gemello” di quello di Genova. E qui tutti si affrettano a riverlarne la maledizione: fu in parte abbattuto da una petroliera che sbattè nei piloni. Morandi non avrebbe previsto questa evenienza a livello progettuale. Che però sarebbe come dire che le Torri Gemelle sono franate perché non era stato previsto nella progettazione il possibile impatto con un Boeing e tantomeno con due: in quel caso la struttura metallica della costruzione non ne impedì il collasso. Comunque nessuno vi dice che se cliccate su Google Earth, “lago di Maracaibo”, vedrete il ponte Morandi ricostruito e saldamente in piedi. Tremende invece sono le condizioni in cui versa il viadotto di Agrigento, sempre progettato da Morandi. Ma le cause saranno date anche dalla costruzione e dalla manutenzione.
Proprio la riduzione delle spese manutentive era considerata all’epoca un requisito positivo del cemento armato. E al tempo si riteneva che la sua “monumentalita” si potesse imporre ovunque. In quest’ultimo caso, purtroppo, anche in prossimità della Valle dei Templi.
Comunque per Genova vogliamo sapere cosa si farà del vecchio viadotto: può essere ricostruito o deve essere demolito? Possono essere salvati i palazzi sottostanti? Che soluzione per i seicento sfollati? E quale nuova viabilità si pensa di realizzare senza far passare mezza Italia dai Caruggi genovesi? Diffuse e storiche sono le responsabilità dei ritardi e nessuno può sfuggire agli accertamenti e ai giudizi, ma i nostri attuali governanti la smettano di scagliare anatemi, sentenze e grida. Di allestire gogne, alimentando ostilità contro politica, opere e progresso in nome di un antipotere a cui ora, per ruolo, non appartengono più. Dimostrino invece ciò che una classe dirigente deve saper fare, nella buona o nella cattiva sorte. Governare.
In una poesia del ‘56, “Litanìa”, Giorgio Caproni descriveva Genova che si riscatta. Tettoia. Azzurro. Latta. Genova sempre umana, presente, partigiana. E così mi piace pensare, dobbiamo pensare, che sarà. Buona domenica e buona fortuna.
Libero Venturi
Pontedera, 19 Agosto 2018
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La citazione virgolettata e in corsivo nel testo è di Piergiorgio Bellocchio: sta in appendice ad un racconto del libro “Il bar sotto il mare” di Stefano Benni.
Libero Venturi