In memoria
di Libero Venturi - domenica 08 novembre 2020 ore 07:30
È morto Sean Connery, il mitico e il vero agente 007. Ma non era solo questo: Sean Connery è stato protagonista in film di Hitchcock, Lumet, Huston, ha interpretato Jimmy Malone negli “Intoccabili” per cui ottenne l’Oscar come migliore attore non protagonista. È stato Ramirez in “Highlander” e di Christopher Lambert, l’ultimo immortale, meglio lui, solo terzultimo. È stato il padre di “Indiana Jones”, il capitano sommergibilista di “Caccia a Ottobre Rosso”, Zed nel fantascientifico cult “Zardoz” e Guglielmo da Baskerville ne “Il nome della Rosa”. Per citare, random, solo alcuni film. Insomma un grande attore cinematografico, ironico e magnetico, di scuola teatrale e apprezzato per questo. Un pezzo d’uomo dall’alto del suo metro e ottantanove: si era piazzato terzo a Mister Universo. Bello, nonostante calvizie e parrucchino precoci. Scozzese indipendentista in kilt, con al braccio tatuato: “Scotland forever”. Di origini popolari prima di approdare al teatro e al cinema Sean Connery si era arruolato in marina a 16 anni, aveva fatto il lattaio in una cooperativa sociale, poi il bagnino alla Portobello Open Pool di Edimburgo, poi ancora il facchino, il camionista, il modello al College of Art e perfino il lucidatore di bare. Che s’ha dà fa’ pe’ campa’!
La televisione italiana, per ricordarlo all’indomani della morte, ha mandato in onda “Quell’ultimo ponte” un polpettone sulla seconda guerra mondiale di Sir Richard Attenborough in cui Connery fa la parte di un generale, recitando da comprimario in un cast con altri eccezionali attori. Ma certo potevano scegliere un film migliore per lui. Comunque se c’era un film con Sean Connery, non era mai banale o non sembrava tale anche se lo era. E lo guardavi fino alla fine, sulla fiducia.
Da tempo aveva lasciato il cinema, il collega amico, Michael Caine, aveva fatto sapere che non ci stava più tanto di testa. E in questi giorni è circolata una sua foto, novantenne, affetto da demenza senile. Ci vorrebbe una legge che imponesse, almeno alla fine, il rispetto dell’immagine di tutti e soprattutto delle stelle del cinema. Perché come tali devono essere registrate nella memoria del nostro immaginario collettivo, come sono apparse nelle loro migliori interpretazioni.
E anche se Sean Connery non è stato solo l’agente 007, quello che rispondeva «il mio nome è Bond, James Bond» bevendo «Vodka Martini, agitato non mescolato» per noi rimane l’agente segreto con “Licenza di uccidere”, su una spiaggia del Mar dei Caraibi da cui emerge Ursula Andress, sexy seppur in un castigato bikini bianco. Era il 1962 e per le nostre fantasie erotiche bastava e avanzava. Altri tempi! E così, nel mito che rappresentano, vogliamo ricordarli per sempre i divi del cinema come Sean Connery. Ci basta sapere che è morto dormendo, forse sognando.
Ci ha lasciato anche Luigi, in arte Gigi, Proietti. È stato un grande attore di teatro e un bravo interprete cinematografico, nonostante il cinema gli abbia offerto poco, ritenendolo “troppo teatrale”! Ha fatto anche televisione, per il piccolo schermo è stato Don Filippo Neri; il popolare Maresciallo Rocca, l’ultima apparizione televisiva. Ha lavorato come doppiatore prestando la voce a Rocky per gridare “Adriana!”. È stato un direttore artistico, un maestro nella sua scuola teatrale da cui sono usciti valenti attori. È stato un mattatore, capace di ridere e farci ridere. Ironico, leggero, quando la leggerezza è un pregio sulla pesantezza della vita. Bravissimo ad inserirsi in quel confine labile tra commedia e tragedia, virando sul lato comico. Shakespeare e Petrolini. Discendeva dalla commedia dell’arte, ma forse, come Petrolini, discendeva soprattutto dalle scale di casa sua, a Roma. È stato un uomo di spettacolo e di cultura. A me piaceva perché appariva uno grande, ma senza presunzione. Genuino e senza furbizie. Un Gassman che non gassmaneggia. Dotato di grandi capacità recitative e qualità canore, un giullare italiano e della romanità. Irresistibile nel gramelot. Istrione. One-man show. Mimo: arte che aveva appreso da Giancarlo Cobelli, suo maestro. Per il resto non aveva frequentato accademie, ne aveva fondate di suo.
“A me gli occhi please”, con i testi di Roberto Lerici, rimane un caposaldo teatrale di avanguardia, eclettico e popolare. Un evento per sempre. La tivvù nel giorno della morte ha ritrasmesso “Cavalli di battaglia”, un recital, sotto forma di teatro di varietà: una summa dei suoi pezzi migliori in tanti anni di carriera. L’avrò visto non so quante volte, ma sono stato a riguardarlo ancora. E non per un dovuto omaggio, ma perché ogni scena che ricordavo, ogni volta mi faceva di nuovo ridere, ma ridere è poco: divertire. Sono stato incollato alla televisione fino a tarda notte, tanto ho settant’anni e non sono più indispensabile allo sforzo produttivo del Paese, come sostiene il Presidente della Liguria, Toti, che invece, buon per lui, fa punteggio nel Prodotto Interno Lordo.
A me piace ricordare Gigi Proietti che recita da par suo “Il Lonfo”, la poesia metasemantica di Fosco Maraini e imita gli chansonnier francesi cantando, ma dire cantando è riduttivo, «nun me rompe ‘r ca’» con le erre arrotolate. La prima volta che la sentii non capivo bene le parole, intendevo solo la cadenza francesizzante: mai stato sveglissimo, ma forse era questo l’effetto voluto. Poi afferrai e il risultato per me, per tutti, fu esilarante. E confesso che non riesco a non ridere tutte le volte che rivedo Proietti esibirsi nella gag «er cavaliere bianco e er cavaliere nero». Provare per credere. E mi commuove sempre ascoltarlo recitare i versi di Lerici; «mi’ padre è morto partigiano a diciott’anni...»
Era ricoverato da qualche giorno e forse anche per questo è venuta la voglia di celebrarne gli imminenti ottant’anni. Forse perché se l’erano un po’ dimenticato. E così gli auguri anticipati, che, si sa, portano sempre male. E difatti è morto proprio il giorno del suo compleanno. Proietti capace ne avrebbe riso; fino in fondo ha mantenuto il suo spirito e all’ospedale, al dottore che gli faceva la tac ha chiesto: «a dotto’: ja faccio stavorta?». Il cuore è un muscolo strano: quanto è più grande, quanto più non ja fa. E così ci resta quel suo viso simpatico, un grande sorriso, due occhi vivacissimi e una voce che ci ripete «nun me rompe ‘r ca’». Il nostro inno nazionale, intimo e irriverente. E poi ci canta il tormentone: «son contento di morire, ma mi dispiace, mi dispiace di morire, ma son contento». Addio core! I migliori se ne vanno, restiamo solo noi mostri. Buona domenica e buona fortuna.
Pontedera, 8 novembre 2020
Libero Venturi